Namaskar, un saluto che apre una conversazione sacra
“Appunti per una conferenza a Villa Vrindavana”.
Un inchinarsi all’assoluta presenza silenti - o semplicemente in attesa – per poter cogliere una manifestazione divina in un temporaneo accadimento e in una individuale apparenza (o apparizione?).
Mi muovo su una scacchiera come si muovono gli angeli in un cielo - sapendo che i cieli sono molti - Come in alto e così in basso sul ritmo di questo adagio mi muovo sulla scacchiera come fosse proiezione in terra di uno spazio siderale così vasto così antico presente e ancora a venire.
Mi muovo in quadrati bianchi e neri Gialli e rossi Verdi e turchesi confortato dal rigore di una forma incapace di comprendere spazi e tempi in cui giorni e notti stanno uno sopra l’altro irrispettosi di quella sequenza lineare che fa credere di dominare il tempo
in rassicuranti ciclicità.
Namaskar, un saluto per aprire l’occhio a un possibile discorso secondo regole rituali fra considerevoli distanze.
Con mosse regolate da pedine di sasso: tentativo artisticamente espresso e esteticamente appagante di comprendere e fissare un moto creativo che si svolge in spazi siderali.
Un riecheggiare - a volte troppo lieve da farsi flebile a tratti più distinto - della nostra
appartenenza divina.
Scacchiera, un gioco d’altra parte di origine indiana: terra in cui grande è la consapevolezza del Lila.
Gioco che è danza. Creativa e distruttiva.
Che si muove e ci fa muovere sulla ritmica radianza dello Shiva Sankalpa.
Scacchiere, quiconce, quadrati pitagorici, sciami di Leonidi apparentemente sparsi in romantici cieli, ripropongono il magico ritmo quale umano tentativo di penetrare quell’ordine divino che ci sfugge e pur giace scritto fra le trame dell’universo.
Perenne ricerca di ‘rta quell’ordine cosmico che se raggiunto ci sa prendere per mano e ci sa nutrire di am r’tam nettare divino, fonte che placa la sete.
Stare in una rappresentazione quando è sacra, allora è come trovarsi sbalzati nelle linee di forza armonica di uno sri yantra che si fa vivo e ci conduce in una danza di innumerevoli dimensioni autogeneranti. Qui le parole si fan vane non riuscendo a farsi segno di luoghi raramente visitati privi quindi di riferimenti sufficientemente comuni per poterne dialogare.
Impossibile da congelare in una spiegazione, può esser colta da estatica totale intuizione.
Volgerci ad oriente per cercare la nostra origine è tratto comune e allora forse anche la creazione di un giardino come quello progettato per Auroville assume aspetti cosmologici o forse eccheggia un mito cosmogonico e si può far segno vivente di una interazione con la dimensione spirituale.
Individua un possibile ingresso - fatto ad arte - E la creazione di una condizione affinché l’oracolo parli, lo spirito si manifesti in una lingua o in una forma a noi comprensibile.
Ben lo sanno le piante che stanno con foglie che vibrano e invisibilmente irradiano un ordine divino-
“L’origine del nostro mondo non risiede in un avvenimento infinitamente distante nel tempo e nello spazio , a milioni di anni luce da noi, non si trova in uno spazio di cui abbiamo perso le tracce. L’origine è qui, ora. L’origine del mondo è stagionale, ritmica, caduca, proprio come tutto ciò che esiste. Né sostanza, né fondamento essa non è più nel suolo che nel cielo, ma a distanza intermedia, tra l’uno e l’altro. La nostra origine non è dentro di noi - in interiore homine - , ma fuori all’aperto. Non è qualcosa di stabile o ancestrale – un astro di dimensioni smisurate, un dio, un titano. Non è unica. L’origine del nostro mondo sono le foglie: fragili, vulnerabili, eppure capaci di ritornare e rivivere dopo aver attraversato la cattiva stagione. Emanuele Coccia
E se allora la scacchiera è rappresentazione ancora di un bisogno umano di alternare
sezionare – seppur con garbo e con ritmo il dentro dal fuori il corpo dallo spirito e la luce dall’ombra per poi porsi – o credere disporsi sulla soglia e poi ribaltare lo sguardo,
le foglie forse sono – un passo avanti a noi nella sacra conversazione creativa perché capaci di generare atmosfera in una metafisica multiforme e libera mescolanza.
Mentre un dio dall’alto dei cieli ci osserva giocare in questo stagno dove gracidano le rane.
E ci invita a far nostro il passo che fu suo “Chi sono io, lo stesso sei tu. Entra Dunque.”
Cinzia Chitra Piloni,
Milano settembre 2019